mercoledì 4 luglio 2012

I Parlamenti non contano più


I Parlamenti non contano. Il potere è passato ad organismi sovranazionali
di Luciano Canfora - Michele De Feudis - 03/07/2012

Fonte: secolo d'italia 




«Il voto sta diventando sempre meno importante. Il potere è nelle mani di organismi sovranazionali non elettivi»: è realista Luciano Canfora, ordinario di Filologia classica all’Università di Bari, studioso dell’antichità di fama internazionale e firma del “Corriere della Sera”, quando commenta il rapporto sempre più scostante degli italiani con politica ed elezioni. Lo raggiungiamo a San Marino, dove coordina la Scuola superiore di Studi storici. 

Cento anni fa il suffragio in Italia diveniva quasi universale, con una legge promulgata da Giolitti. Adesso nel paese tutti hanno paura del voto. Il ritorno alle urne è uno spauracchio esercitato da istituzioni e partiti per rafforzare lo status quo. Come si spiega questa deriva?

Ai tempi fu considerato un passo in avanti. Ora il quadro è differente. L’esercizio del voto sta diventando sempre meno importante. Eleggiamo dei parlamenti nazionali privi di potere effettivo. 

Chi comanda?

Il potere è passato ad organismi sovranazionali, non elettivi, di carattere burocratico, tecnico, finanziario e bancario. Le sigle Bce - Fmi più la Commissione europea denotano il vero potere, emanano ordini e direttive che i governi nazionali, “bon gré mal gré”, eseguono. Eleggiamo dei parlamenti che si occupano di cose piuttosto marginali. Non di meno la ginnastica elettorale fa bene al potere perché il potere reale è felice di far scatenare le pulsioni dell’elettorato che si divide in partiti abbastanza simili l’uno all’altro. Si contendono la conquista della maggioranza nelle Assemblee dove andranno ad attuare le disposizioni della Commissione europea o della Bce che non è stato eletta né da me né da lei. 

Un secolo fa le ambizioni erano differenti…

Il sistema elettorale rappresentativo è stato una cosa importante nella storia d’Europa ed ha fatto il suo tempo. E’ diventato altro, una cornice dell’esplicarsi dei poteri effettivi, fondamentale perché il potere reale andrebbe in difficoltà. L’errore commesso dalla “nomenklatura” sovietica fu questo: pensare che fosse una ginnastica inutile. Invece era necessaria per far sfogare la pulsione protagonistica del cittadino che si illude di contare.

Dal 1992 in poi sono stati firmati trattati che hanno ceduto la titolarità delle politiche economiche italiane al sovrastato, creando un corto circuito con la costituzione. Furono solo scelte della élite al governo?

Da noi non si è fatto un referendum né sull’euro né sul tentativo di assumere una costituzione europea. In altri paesi, un po’ diversi dal nostro, ci sono state consultazioni popolari che hanno dato anche responsi negativi. In Italia il centrosinistra di quel periodo ha puntato tutto su questo indirizzo. La Repubblica federale tedesca è diventata la potenza egemone sul continente. Il Fuhrer ha cercato l’egemonia sull’Europa con le armi e ha perso. Il grande potere bancario-industriale della Germania post-bellica ha ottenuto lo stesso risultato per una via più intelligente, quella economica. 

In Grecia la possibile vittoria di Syriza è stata descritta come una sciagura per l’Europa. Ma i popoli non sono sovrani nell’esercizio del voto?

La sovranità popolare è una idealità importante, ha alle spalle sofferenze e lotte. E’ una idea forza, ma le forze reali sono quelle retrosceniche o anche sul proscenio. Un grande italiano, Antonio Gramsci, nei “Quaderni del carcere” scriveva: “Negli stati occidentali esiste una apparente pluralità di partiti. Sono un unico partito diviso in fazioni che mostrano di essere in contrasto tra loro, ma al disopra c’è una forza direttiva più grande che li pilota e li coordina”. Diceva così anche Benedetto Croce all’inizio degli anni dieci. E’ la solita distinzione nella scienza politica tra le élite decisive e la sovranità popolare: vettori in perenne conflitto tra loro. Come diceva Eraclito “Polemos è padre di tutte le cose”. Il conflitto è la realtà concreta della vita sociale.

In Italia c’è il governo presieduto da Mario Monti, non votato dagli elettori e da alcuni notisti definito “tecnico”.

L’esecutivo Monti non è un governo tecnico. Ha una maggioranza parlamentare larghissima. Chiamarlo così è un autoinganno. L’attuale presidente del Consiglio è entrato in circuito in modo anomalo, sotto pressione della Germania e della Commissione europea. Le smentite al riguardo sono state molto deboli. I partiti che lo sorreggono sono dilaniati sull’opportunità di proseguire questa esperienza. 

Partiti marginalizzati per i diktat europei. Accade solo da noi?

Non è un fenomeno solo italiano. E’ avvenuto qualcosa di simile in Spagna e Grecia attraverso modi diversi ma sostanzialmente analoghi. Si tratta di un conflitto tra l’Europa mediterranea - che complessivamente è debole - e la forza direttiva europea che sta in Germania e nell’area circostante. 

Siamo destinati a soccombere?

Noi dovremmo guardare al resto del Mediterraneo con cui abbiamo interessi comuni, creare un’altra comunità, una moneta diversa dall’euro. E’ uno scenario del tutto possibile ove ci fosse la volontà di altri paesi che si affacciano sul Mare Nostrum di divincolarsi da questo abbraccio soffocante.

Intanto avanzano antipolitica e populismo…

L’antipolitica è ricorrente nella storia dei regimi parlamentari. Abbiamo avuto Guglielmo Giannini. Era più colto di Beppe Grillo, al cospetto del comico genovese quasi un letterato… In Francia Pierre Poujade il 2 gennaio 1956 ebbe quasi cento parlamentari all’Assemblée nationale. Quando queste formazioni vengono coinvolte nell’attività parlamentare con incombenze di governo fanno naufragio. E’ accaduto a Poujade, ed alla Lega, che dopo tanti anni non ha portato a casa quasi niente e perciò si sta sgonfiando.
 

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