giovedì 29 marzo 2012

Lavorare e/o vivere

Lavorare - per molti - non conviene più
di Valerio Lo Monaco - 28/03/2012
Fonte: il ribelle 

 La domanda alla qualvogliamo tentardi risponderin questa circostanza è la seguente: ha ancora senso lavorare? Ancora meglio: è ancora utilfarlo? Beninteso, stiamo parlando, ovviamente, del lavoro salariato,possiamo anchrestringereancora di più il quesito, cercando di trovaruna linea di confinal di sotto della qualla risposta potrebbnon essercosì scontata cominveca prima vista la maggioranza dell'opinionpubblica crede.
In questo caso il punto diventa: qualè il limital di sotto del quallavorarnon solo è avvilente, ma nei fatti diventa anchecontroproducente.

Il motivo di taldomanda è molto semplice: molti pensano chquando scriviamo di pensarrealmenta cambiaril proprio modus vivendi, di spostarsi, cambiarattività e in senso generalcercardi crearsi un nuovo paradigma - anchpratico - per sopravvivere, parliamo di utopichsono al di fuori della realtà. Comvedremo, in molti casi, è molto più al di fuori della realtà rimanerin alcuncondizioni piuttosto chprenderseriamentinesamun cambiamento radicaldi vita. 

Un lavoro, in teoria, dovrebbconsentirdi soddisfare, per il lavoratore, almeno trambiti: economico, pratico, psicologico. Ovvero esistenziale.

Dal punto di vista economico dovrebbgarantirquanto meno di poter arrivare, proprio dal punto di vista numerico, alla piena sussistenza ogni mese. Il chsignifica chdevessernecessario, snon a consentirdi risparmiareeconomicamentqualcosa per lincertezzchin ogni caso il futuro porta con sé, quanto meno a pagari conti necessari ad averl'indispensabile. Alloggio evitto, e spesaccessoricollegate. Comvediamo, stiamo parlando proprio del minimo indispensabile.

Dal punto di vista pratico dovrebbconsentirdi soddisfaralcunnecessità, ma sopra a tuttuna: poiché il tempo chil lavoro sottraalla vita di tutti i giorni non può, siccomnon abbiamo il dono dell'ubiquità, esserutilizzato per svolgeraltrattività, il guadagno economico chsi trada una giornata lavorativa devquanto meno servira poter acquistaruna seridi coseservizi chnon possiamo svolgerda soli, per ovvi motivi di tempo. E questo, sia chiaro, ancora prima di entrarnel merito del fatto chsia giusto o meno, positivo o negativo, sceglierdi lavorarper acquisirdenaro per comperarecoschinvecsi potrebbfarda soli.

Dal punto di vista psicologico dovrebbinfinalmeno poter garantirdi vivereuna esistenza chdal punto di vista emotivo possa scorrersenza ansio paure, per esempio quella, semprpiù diffusa nella nostra società, di riuscira soddisfarlproprinecessità. Ma ancora: visto chil lavoro occupa non solo la maggior partdellgiornate, ma in senso lato la maggior partdella propria vita, dovrebbesseressenzialpensarcomimprescindibilil fatto chil lavoro chsi svolgdebba esserscelto e preferibilrispetto a un altro. Fareun lavoro chnon solo costa fatica (il chè anchnormale) ma chnon piacechmagari reca profondi scontenti, equivala passarla maggior partdella propria vita a faruna cosa controvoglia. In altrparole, a soffrire, soprattuttoemotivamente, per tutto il corso della propria vita lavorativa (il chequivale, oggi comoggi, sino quasi alla morte).

È logico a questo punto farun bilancio del proprio lavoro e verificarsquesti trambiti sono soddisfatti, e come, oppurssiano in varia misura ecombinazionpiù o meno disattesi. Ci sarà chi svolgun lavoro chnon gli piacaffatto, magari in un ambito chper propria inclinazionè diametralmentopposto al proprio sentire, ma chattraverso di esso soddisfa bene, diciamo ben oltri limiti minimi chabbiamo indicato, gli altri dupunti. Oppurchi in qualcuno di questi ambiti rilevi di esserben al di sotto di un certo limite, ma chmagari la cosa sia compensata in modo rilevantda almeno uno degli altri. 

Ma esistun caso in cui tutti i trgli ambiti siano del tutto disattesi. In cui il lavoro chsi svolgnon consentdi percepiruno stipendio in grado di far frontallmerindispensabili necessità economiche, in cui non lasci il tempo di faraltro e chapporti un profondo malesseral lavoratore.

Questo è, nel nostro modello e in modo particolarnegli ultimi anni, il caso più diffuso. E presumibilmente, almeno leggendo i dati economici e sentendo ledichiarazioni stessdei nostri governanti, sarà così a lungo. Molto a lungo: secondo Monti, ed è solo una previsione, in Italia abbiamo almeno "venti anni di regimcontrollato". È una situazione, dunque, chnon è destinata a cambiarsensibilmentin positivo per un periodo molto lungo. Quanti anni avremo tra (almeno) venti anni? 

Indichiamo un caso scuola, puramentesplicativo, chpuò pe esserecalibrato da ognuno variando i parametri relativi alla propria situazione, al luogo di residenza e allproprinecessità. È un caso chconosciamo di persona, e non è uno dei casi limite. Lcondizioni di vita e lavorativcheandremo a descriversono di una persona choggi può addirittura considerarsi fortunata, rispetto alla maggioranza dei lavoratori della sua stessa età, o giù di lì.

Trentotto anni, contratto a tempo indeterminato, 1000 euro al mesdi stipendio netto, per 8 ordi lavoro dal Lunedì al Venerdì. Comundi lavoro Roma, e così la residenza.

Il nostro lavoratorè single, vivin un appartamento di 35 metri quadrati in affitto, per il qualpaga 550 euro al mespiù 100 di condominio. E più, ovviamente, lutenze

Comsi vede, abbiamo scelto una situazionche, per chi conoscil mondo del lavoro in una grandcittà o comunqupuò immaginarquanto accadoggi in una situazionanaloga, è già ben al di sopra di tantsituazionchinvecesono, e di molto, peggiori. 

Per raggiungeril posto di lavoro, il nostro soggetto utilizza un motorino, eimpiega circa 35 minuti per andarlo stesso tempo per tornare.

Ebbenquesta persona, pur avendo un contratto a tempo indeterminato nel settorprivato, per riuscirad arrivaralla findel mesdevsvolgerenecessariamentun secondo lavoro (nel caso, un paio di seratin un locale). 

Il motivo è semplice, tra affitto e utenze, assicurazionper il mezzo e la benzina, ciò chlresta non è sufficienta poter comperarla quantità di cibo - meramente: il cibo - chlnecessita per arrivara finmese. E non parliamo di altrcose: vestiario, oggetti di altro tipo, spesimpreviste, svago. 

Ma il punto non è solo meramentnumerico. Il fatto è chlsugiornateiniziano all8 e terminano all19, spostamenti inclusi, tranni giorni in cui lavora anchla sera, soprattutto nel finsettimana. 

ancora, in modo determinante, questa persona, in ogni caso, non è in grado di poter accedera nulla di ciò chRoma "offre", comla varietà di cinema eteatri, concerti ed esposizioni culturali, ristoranti, locali e più in generaltutto ciò chnon sia lavoro e ch(per chi apprezza) è possibilaverin una grandecittà: non ha denaro a disposizionper potersi permetterqualcosa. In pratica non può accedera nulla per cui valga la pena vivere. Può solo lavorarper (tentardi) arrivaralla sopravvivenza sino alla findel mese

Ultimi trpunti. Il primo: svolgun lavoro impiegatizio chnon loffralcuna soddisfazionpersonale, chmediamentla annoia per otto orogni giorno ela impegna per novoro più. Il secondo: ha da poco scoperto che, nella migliordellipotesi - ovvero chl'azienda per la quallavori non ceda alla recessionsia costretta a licenziare, e chnel frattempo non occorrano altremanovrper la previdenza - potrà andarin pensiontra non meno di venticinque/trenta anni. Il terzo: non c'è alcuna possibilità all'orizzonte, mediamentlogica o sulla qualpuntar(chnon sia una mera speranza) chelcospossano cambiarin meglio.

In sintesi: conducuna vita da schiavo - pur sin condizioni certamentemigliori di tantissimaltr- per riuscira malapena ad arrivaralla findel mes(quando non ci arriva si appoggia, anchsolo per il vitto, a una retdi familiari) il più dellvoltfacendo i conti al millimetro, lavorando circa cinquanta ora settimana in total(tra primo e secondo lavoro) per farcosedallquali non traneanchalcuna soddisfazionpsicologica, senza poter godernulla di ciò chuna città comRoma offrma soffrendontuttledifficoltà (traffico, inquinamento, prezzi alti per ogni cosa) e con una prospettiva di condurruna vita del generper arrivare, forse, a percepiruna pensionquando avrà lforze, e il denaro sufficiente, appena per faruna passeggiata ai giardini comunali. 

Nulla, a nostro avviso, valun sacrificio simile. E stiamo parlando, ribadiamo, di una situazioninfinitamentmigliordi quella della maggior partdei lavoratori della sua età, o poco più giovani. Ovvero della situazionlavorativa della generazionattualdi quellprossime.

Esistdunquun limitminimo - anchsdifferentdal punto di vista del "quanto" in basal luogo in cui si vive, ad esempio sin una grandcittà oppurin provincia - al di sotto del quallavorardiventa controproducente.Ed è, comabbiamo visto, un ragionamento prettamentlogico, numerico, pratico. 

Volutamentnon abbiamo affrontato in questa sede, ma lo faremo a breve, l'aspetto più prettamentemotivo e svogliamo filosofico del concetto di lavoro. Ovvero, detto sinteticamente, il concetto di "senso" - direzionesignificato - chil lavoro dovrebbaver(rispetto a quello chla maggioranza dellpersonfa e chinvece, di senso, nha poco, in generalper sé). Comdetto torneremo sul punto prossimamente, per ora valga almeno una riflessione: svolgerun lavoro chimpegna la maggior partdellpropriegiornatpercepirchtallavoro non ha senso snon (non sempre) nella misura unica del ritorno pratico, economico principalmente, equivala dirchesi sarà spesa la propria vita intera senza senso. Squesta considerazionvalga poco o molto, ognuno può dire. In ogni caso, affronteremo il tema presto.

Tornando a noi, moltissimi tra i lavoratori attuali vivono proprio una situazioneal limite, e molti sono direttamental di sotto di tallimite: lavorano anchemoltissimo senza riuscira percepiruno stipendio in grado di garantirgli ancheil minimo chun lavoro dovrebbgarantire

Semplicdeduzionimpondunquuna seconda domanda: perché si continua a perpetraruna situazionche, in modo evidente, non è in grado di risolverela propria esistenza? La risposta è purtroppo brutalmentfrustrante: la maggior partdi chi vivuna storia del genere, pur rendendosi evidentementeconto della situazionnella qualversa, preferisccontinuara viverla piuttosto chanchsolo ipotizzarla possibilità di imprimerun cambiamento radicale. Di più: molti vivono costantementnella speranza illusoria chequalchcosa possa cambiare. Per qualmotivo, vista la situazione, non è dato sapere

È comesseruna squadra di calcio chgioca una partita evidentementetruccata, in cui ogni minuto l'altra squadra segna dieci reti, e al momento il risultato è di 70 a 1, e però pensa ancora chsiccomla palla è rotonda possa accaderqualcosa di non meglio precisato in grado di far invertirla tendenzasperaralmeno in un pareggio quando invece, chiaramente, l'unica cosa da farsarebblasciaril campo in segno di protesta e andarsi a trovaruna nuova partita, un nuovo campionato non truccato. 

invecno, malgrado tutto, si continua a staralla macina. Malgrado l'evidenza si continua a disperdertutti i giorni della propria vita per staral gioco di chi non ha altro obiettivo di continuara farci staral (loro) tavolo da gioco.

Capirla situazione, rinunciara crederall'impossibile, e deciderdi imprimerun cambiamento alla sfera della propria vita, con tutto quello chequesto comporta, naturalmente, è dunquun atto di ribellione. Cheovviamentnon è per tutti, anchse, sfossapplicato da un numero elevato di persondi popoli, sarebbin grado di innescarciò di cui ci sarebbrealebisogno, ovvero una rivoluzione

In ogni caso, posto chi dati sono questi, e la dimostrazionnon è negoziabile, non è chsi hanno poi moltaltrscelte: o si continua a ignorarla realtà, oppurla si affronta, e ssi ha coraggio, si scelgono altrstrade. Per quanto inesploratpossano essere. Da una partc'è una strada certa, e sappiamo senza possibilità di essersmentiti di chtipo è, cosa comporta, e molto probabilmentchnon si modificherà, almeno nel corso della nostra vita. Dall'altro lato la possibilità, almeno la possibilità, di trovaraltro. A ognuno la scelta, e ora. Non quando la vita sarà passata.

Valerio Lo Monaco

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