martedì 21 febbraio 2012

Miniriforma legislazione vittime racket e usura


Articolo 14.02.12
La miniriforma della legislazione di sostegno alle vittime del racket e dell'usura
Commento alla Legge 7 gennaio 2012 n.3

Dott. Claudio Silvis

Con la legge 7 gennaio 2012 n.3 sono state apportate modifiche alla legge 7 marzo 1996 n.108, recante  “Disposizioni in materia di usura”, nonché alla legge 23 febbraio 1999 n. 44, recante “Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura”.

Le novità di maggior rilievo riguardano i benefici economici statali a sostegno degli imprenditori e liberi professionisti che hanno subito danni in conseguenza di atti di intimidazione estorsiva (legge art. 3 L. 44/1999) o di approfittamenti usurari (art. 14 L.108/1996) ed abbiano denunziato gli autori dei reati.

Le provvidenze in argomento sono concesse dal Commissario Straordinario del Governo per il Coordinamento delle Iniziative Antiracket e Antiusura dopo un’istruttoria curata in sede locale dai prefetti e mirano ad agevolare il “reinserimento nell’economia legale” degli operatori economici e professionisti danneggiati dal racket e dall’usura.

La novella interviene su una disciplina – quella dei procedimenti amministrativi finalizzati alla erogazione dei suddetti benefici – che, soprattutto in relazione alle provvidenze destinate alle vittime dell’usura, si è mostrata foriera di lungaggini procedural-burocratiche non indifferenti e che ha fatto emergere nel tempo lacune ed incongruenze previsionali che hanno generato vari problemi interpretativi ed applicativi.

1. Estensione dei benefici agli imprenditori dichiarati falliti

Con riferimento alle elargizioni riservate ai soggetti danneggiati dall’usura, l’art. 1 della legge 3/2012 estende la possibilità di erogare il mutuo senza interessi previsto dall’art. 14 L.108/1996 anche agli imprenditori falliti, possibilità peraltro da tempo riconosciuta in via di prassi dal Commissiario Straordinario Antiracket e Antiusura e che era stata inizialmente esclusa in quanto incompatibile con l’accennata destinazione istituzionale del prestito statale di favorire il “reinserimento nell’economica legale”  dell’imprenditore usurato.

Al riguardo, la legge novellatrice inserisce nel corpo dell’art. 14 L.108/1996 un comma 2-bis, che prevede l’erogabilità dei mutui in parola anche all’imprenditore dichiarato fallito <<previo provvedimento favorevole del giudice delegato al fallimento, a condizione che il medesimo (fallito) non abbia riportato condanne definitive per i reati di cui al titolo VI del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero per delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, l’amministrazione della giustizia, il patrimonio, l’economia pubblica, l’industria e il commercio, a meno di intervenuta riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale (...)>>

A quest’ultimo proposito, deve osservarsi che l’accesso al mutuo antiusura è negato a chiunque sia stato condannato per i reati indicati dal comma 7 dell’art. 14 L.108/1996, ossia   <<per il reato di usura, anche tentato, o per taluno dei reati consumati o tentati di cui agli articoli 380 e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale...>> e che ai soggetti dichiarati falliti si preclude l’accesso al mutuo non solo in ragione di quei pregiudizi penali, ma anche laddove abbiano riportato condanne definitive per delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, l’amministrazione della giustizia, il patrimonio, l’economia pubblica, l’industria e il commercio. Si tratta di un aggravio delle condizioni ostative al beneficio di cui non è dato scorgere quale sia il particolare nesso con lo status di persona dichiarata fallita che ha condotto il legislatore a prevedere tale ulteriore limitazione solo per quella categoria di soggetti.

E’ poi opportuno sottolineare che l’interpretazione logico-sistematica della previsione che subordina l’accesso al mutuo dell’imprenditore fallito al parere favorevole rilasciato al giudice delegato porta necessariamente a concludere che tale parere sia configurato dal Legislatore come una sorta di garanzia del fatto che le somme erogande dallo Stato all’imprenditore soggetto al fallimento saranno utilmente impiegate per la ripresa dell’attività economica dello stesso imprenditore, ossia che potranno essere utilmente impiegate per conseguire quel “reinserimento nell’economia legale” del soggetto (o meglio della sua azienda) che costituisce la finalità istituzionale che la concessione dei mutui in argomento deve perseguire. Ciò comporta che il giudice delegato dovrà esprimere il proprio parere sulla base di una valutazione prospettica dei plausibili esiti della procedura concorsuale, tenendo conto di tutti gli elementi ed indicatori a sua disposizione dai quali è possibile enucleare che l’impresa sopravvivrà al fallimento e potrà trarre profitto dal prestito pubblico.

Sempre con attinenza alla possibilità dell’imprenditore fallito di ottenere il mutuo, il comma 2-ter, pure inserito nell’art. 14 L.108/1996 dalla novella, dispone che <<le somme erogate a titolo di mutuo ai sensi del comma 2-bis non sono imputabili alla massa fallimentare né alle attività sopravvenute dell’imprenditore fallito e sono vincolate, quanto a destinazione, esclusivamente all’utilizzo secondo le finalità di cui al comma 5.>>, rendendosi in questo modo compatibile l’accesso al beneficio da parte del fallito con la ridetta finalità  istituzionale del beneficio stesso di servire al reinserimento nell’economia legale dell’operatore economico che consegue il prestito.

Con due nuovi commi inseriti nell’art. 3 della legge 44/1999, il 7-bis e 7-ter, la legge novellatrice, parallelamente a quanto ha previsto per le vittime dell’usura, estende agli imprenditori falliti anche la possibilità di accedere alla elargizione riservata agli operatori economici ed ai liberi professionisti danneggiati da atti di intimidazione o di ritorsione collegati a reati estorsivi.

Anche qui l’accesso del fallito al beneficio può avvenire... << previo parere favorevole del giudice delegato al fallimento, a condizione che il medesimo soggetto non abbia riportato condanne per i reati di cui agli articoli 216 e 217 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero per delitti contro il patrimonio, l’economia pubblica, l’industria e il commercio, a meno di intervenuta riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale>>, ma con l’aggiunta, rispetto a quanto disposto in relazione ai mutui antiusura, che l’imprenditore fallito non deve essere neppure... << indagato o imputato per gli stessi reati. In tale ultimo caso la concessione dell’elargizione non è consentita e, ove sia stata disposta, è sospesa fino all’esito dei relativi  procedimenti>>.

Non è dato cogliere, per la verità, la ratio giustificatrice di tale discriminazione ai danni del fallito che aspira all’elargizione antiracket rispetto a quello che aspira al mutuo antiusura.

Analogamente a quanto è previsto circa la destinazione dei mutui antiusura, si dispone che... << le somme erogate a titolo di elargizione ai sensi del comma 1-bis non sono imputabili alla massa fallimentare né alle attività sopravvenute del soggetto fallito e sono vincolate, quanto a destinazione, esclusivamente all’utilizzo secondo le finalità di cui all’articolo 15.>>. Tuttavia, a differenza di quanto è stabilito in ordine al prestito antiusura, relativamente al quale è escluso che la somma prestata possa in alcuna misura servire alle finalità del fallimento, per le provvidenze antiracket si stabilisce che...<< il ricavato netto è per la metà acquisito dal curatore quale attivo sopravveniente del fallimento, e per la residua metà deve essere impiegato a fini produttivi e di investimento>>, laddove per ricavato netto s’intende quello che l’imprenditore conseguirà dall’esercizio dell’impresa svolto grazie al capitale messogli a disposizione dallo Stato con la concessione del contributo in parola.

La discriminante, forse,  trova spiegazione nel fatto che le provvidenze antiusura necessitano di essere restituite allo Stato, mentre quelle antiracket sono a fondo perduto; cosicché, la non previsione della destinazione al fallimento degli utili che il fallito ricaverà dall’attività  svolta grazie ai fondi antiusura sembra dipendere dalla finalizzazione preferenziale di quegli utili all’adempimento dell’obbligo restitutorio che grava sul beneficiario verso lo Stato,  esigenza che non si pone con riferimento agli utili ricavati dall’attività finanziata con le provvidenze antiracket, che possono per metà essere acquisiti alle eventuali ragioni del fallimento.


2. Eliminazione della provvisionale e arretramento del momento della decisione concessiva dei mutui antiusura

La L.3/2012 riscrive integralmente il comma 3 dell’art. 14 della legge 108/1996, il quale ora  stabilisce che << il mutuo può essere concesso, anche nel corso delle indagini preliminari, previo parere favorevole del pubblico ministero, sulla base di concreti elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari medesime>>.

Il previgente testo della disposizione non rendeva possibile concedere il mutuo <<...prima del decreto che dispone il giudizio nel procedimento di cui al comma 2. Tuttavia prima di tale momento, può essere concessa, previo parere favorevole del pubblico ministero, un'anticipazione non superiore al 50 per cento dell'importo erogabile a titolo di mutuo quando ricorrono situazioni di urgenza specificamente documentate; l'anticipazione può essere erogata trascorsi sei mesi dalla presentazione della denuncia ovvero dalla iscrizione dell'indagato per il delitto di usura nel registro delle notizie di reato (...)>>.

Il nuovo disposto sopprime la possibilità di ottenere l’anticipazione fino al 50% della somma chiesta a mutuo, anticipando la possibilità di concludere il procedimento amministrativo con la integrale concessione del beneficio già nella fase delle indagini preliminari del procedimento penale relativo ai fatti di usura di cui l’imprenditore o il libero professionista si affermano vittime; questo, tuttavia, a condizione  che il pubblico ministero titolare delle indagini esprima parere favorevole alla luce di elementi da cui emerga che il richiedente abbia effettivamente subito le pratiche usurarie denunciate.

L’espressione di un simile parere, tuttavia, presupporrebbe che le indagini preliminari fossero già in uno stato alquanto avanzato, evenienza assolutamente improbabile non solo allorquando il presunto usurato chieda il mutuo a breve distanza di tempo dalla presentazione della denuncia, ma anche – stante il carico di lavoro che da anni notoriamente ingolfa le Procure della Repubblica – quando sia ormai trascorso un certo tempo dall’iscrizione degli indagati nel registro delle notizie di reato.

Pertanto, il meccanismo acceleratorio introdotto dalla novella si prospetta efficace in una limitata serie di casi.

E’ bene osservare, inoltre, che il parere favorevole del P.M. non è da solo sufficiente a determinare la concessione del mutuo da parte dell’autorità amministrativa, dovendo questa, pur a fronte di un parere favorevole del magistrato, negare comunque il beneficio in mancanza delle altre condizioni che, in aggiunta alla qualità di vittima dell’usura del richiedente, la legge esige per la sua attribuzione. 

Per converso, il parere contrario alla concessione del mutuo non sembra dare adito a sviluppi del procedimento amministrativo diversi dall’archiviazione della domanda di mutuo e ciò in quanto, a fronte di una valutazione negativa del P.M. sull’attuale esistenza di elementi atti a confermare la qualità di vittima di usura del soggetto, nessuna norma di legge o di regolamento consente all’amministrazione si tenere in vita il procedimento a tempo indeterminato,  al solo scopo di attendere una possibile emersione futura della predetta qualità soggettiva dell’istante in sede processuale.

A questo proposito, va rimarcato che il D.P.R. 455/1999, ossia il regolamento attuativo dell’art. 14 L.108/1996, abbia o non abbia il P.M. espresso il parere, assegna al prefetto sessanta giorni di tempo per concludere l’istruttoria, elevabili fino a novanta nei casi di particolare complessità (art.11). A sua volta, l’autorità centrale, ricevuto il rapporto del prefetto, ha trenta giorni di tempo per determinarsi sulla concessione del mutuo, termine elevabile fino a sessanta qualora vi sia la necessità di un supplemento di istruttoria (art.13). Ciò comporta che, in caso di parere contrario del P.M., l’autorità governativa dovrebbe senz’altro definire il procedimento, senza poter attendere eventuali sviluppi processuali favorevoli all’istante (come potrebbe accadere, ad esempio, qualora, dopo il parere negativo del P.M., il G.I.P. non accogliesse la richiesta dello stesso P.M. di archiviazione del procedimento penale e disponesse indagini suppletive da cui emergano elementi per il rinvio a giudizio degli indagati).

Ne discende che, se la qualità di persona danneggiata dall’usura dovesse emergere da evoluzioni processuali che – com’è ampiamente possibile che avvenga –  intervengono dopo il rigetto della domanda di mutuo seguito al parere contrario del P.M., l’interessato che intendesse ottenere il beneficio dovrebbe instaurare un nuovo procedimento amministrativo. Sennonché, laddove  al momento della presentazione della nuova domanda siano già trascorsi sei mesi dalla data in cui l’istante presentò la denuncia di usura o ebbero inizio le indagini preliminari, la nuova domanda dovrebbe essere dichiarata irricevibile, essendosi ormai compiuta, col decorso del semestre, la decadenza dalla possibilità di presentare le istanze considerate prevista del comma 7 dell’art. 14 L.108/1996.

Analoga si prospetta la situazione nelle ipotesi – tutt’altro che accademiche –  in cui il pubblico ministero non esprima alcun parere entro i termini di conclusione del procedimento amministrativo, con la non del tutto trascurabile differenza che in tali casi, ove non intervenissero atti processuali significativi prima dello spirare di quei termini, l’iter amministrativo dovrebbe giocoforza chiudersi col rigetto dell’istanza senza neppure che si sia potuto appurare il difetto nell’interessato del requisito dato dall’essere stato vittima di un approfittamento usurario.

Il gran numero di procedimenti amministrativi che, in aperto contrasto con l’obbligo cogente imposto alle pubbliche amministrazioni dall’art. 2 della legge 241/1990,  sono da anni lasciati in uno stato di quiescenza a tempo indefinito nelle attese, spesso illusorie, che sul fronte del procedimento penale accada qualcosa che faccia emergere se usura vi è stata o non vi è stata ai danni del richiedente il mutuo avrebbe dovuto suggerire interventi razionalizzatori volti ad eliminasse le suddette incongruenze procedurali, magari prevedendo una sospensione ope legis del decorso dei termini di conclusione dei procedimenti de quibus  fino al ricevimento del parere del pubblico ministero da parte dell’autorità amministrativa o alla sopravvenienza di atti processuali utili a consentire la verifica del possesso o meno della qualità di vittima dell’usura in capo all’istante.


3. La sospensione dei termini prevista dall’art. 20 L 44/1999

Forse l’intervento di maggiore impatto attuato dalla legge 3/2012 è quello relativo alla speciale moratoria che l’art. 20 della legge 44/1999 prevede in favore dei soggetti che chiedono l’elargizione antiracket ed il mutuo antiusura.

Dispone il predetto art. 20 che, a favore dei citati soggetti, restano sospesi:

- per trecento giorni, i termini di scadenza, ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo, degli adempimenti amministrativi e per il pagamento dei ratei dei mutui bancari e ipotecari, nonché di ogni altro atto avente efficacia esecutiva ed anche i termini di prescrizione e quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, che sono scaduti o che scadono entro un anno dalla data dell’evento lesivo;

- per trecento giorni, l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili e i termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate;

- per tre anni,  i termini di scadenza, ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo, degli adempimenti fiscali.

Si tratta di una misura conservativa pensata dal legislatore del 1999 come accessoria e prodromica rispetto alla concessione delle provvidenze economiche antiracket e antiusura e che, quindi, non può prescindere, ai fini del suo concreto operare, da una sia pur sommaria previsione di spettanza dell’elargizione o del mutuo al soggetto che dovrebbe beneficiarne.

Più in particolare, la speciale moratoria prevista dall’art. 20 L.44/1999 mira a tutelare il patrimonio aziendale dell’imprenditore e del libero professionista consistentemente danneggiati da atti di intimidazione di matrice estorsiva o da approfittamenti usurari dalle  aggressioni dei creditori (anche di quelli totalmente estranei ai reati) per il tempo presumibilmente necessario a ricevere il contributo statale, acquisito il quale l’operatore economico e il professionista potranno estinguere i debiti e riprendere o proseguire l’attività senza particolari ostacoli di natura economico-finanziaria (cfr. Cass. Civ,. Sez. III, 24/01/2007 n. 1496).

Allo scopo di verificare l’esistenza del suddetto fumus riguardo alla spettanza dei benefici economici ai quali la misura cautelare è intimamente collegata dal suddetto nesso funzionale,  il comma 7 dell’art. 20 subordinava ad un parere favorevole espresso dal prefetto competente ad istruire l’istanza di elargizione o di mutuo l’acquisizione dell’efficacia da parte delle sospensioni indicate dalla norma.

Sul potere del prefetto di rendere effettiva la moratoria esprimendo il parere favorevole è intervenuta la Corte Costituzionale, che con la sentenza 14.12.2005 n° 457 ha espunto dalla disposizione legislativa l’aggettivo “favorevole” riferito al parere prefettizio, rilevando che, in tal modo, la legge attribuisse, sia pure per implicitum, ad un organo amministrativo la potestà di sospendere i procedimenti di esecuzione forzata con una determinazione che spetta assumere esclusivamente all’organo giurisdizionale titolare dei procedimenti in questione.

A seguito dell’intervento della Consulta, il parere del prefetto è venuto a configurarsi come atto che deve obbligatoriamente intervenire ai fini della decisione del giudice dell’esecuzione di sospendere il procedimento esecutivo, ma che non vincola il giudice a sospendere il procedimento, potendo l’organo giudicante disattendere il parere prefettizio favorevole e negare la sospensione.

Ora, l’art. 2 della L.3/2012 ha interamente riformato il comma 7 dell’art. 20 L.44/1999, sottraendo al prefetto il potere di pronunciarsi in qualunque modo sulle sospensioni ed attribuendo il potere stesso al procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo posto a base delle richieste di elargizione o di mutuo.

A questo proposito, è disposto che le sospensioni hanno effetto a seguito del “provvedimento favorevole” del procuratore della Repubblica. Il provvedimento deve essere assunto dopo che il prefetto che ha ricevuto la richiesta di mutuo o di elargizione abbia trasmesso al procuratore l’elenco delle procedure esecutive pendenti contro il richiedente; il procuratore deve inviare il provvedimento entro sette giorni dal ricevimento dell’elenco al giudice o ai giudici dell’esecuzione.

Sembra che il Legislatore, nel trasferire dal prefetto-organo amministrativo al procuratore della Repubblica-organo giudiziario il potere di rendere operative le sospensioni in parola,  abbia ritenuto definitivamente superata la problematica della riserva di giurisdizione rilevata dalla Corte costituzionale. Di tale suggestione è chiaro indizio il fatto che, malgrado la Consulta abbia soppresso l’aggettivo “favorevole” abbinato al parere prefettizio, la nuova norma postula che la determinazione del procuratore debba essere “favorevole” affinché le sospensioni possano avere effetto, come se la disposta trasmigrazione della potestà in argomento in capo ad un organo che si qualifica come autorità giudiziaria rendesse ormai l’attributo  “favorevole” non più idoneo a causare l’invasione delle prerogative giurisdizionali rilevate dal Giudice delle leggi quando ad esprimersi era il prefetto.

Malgrado le buone intenzioni del Legislatore, si ha motivo di ritenere che la modifica del soggetto competente a pronunciarsi in merito alle sospensioni considerate non varrà a rendere, nei confronti del giudice dell’esecuzione, il “provvedimento favorevole” del procuratore della Repubblica più vincolante di quanto non lo fosse il “parere favorevole” del prefetto. Notoriamente, i magistrati con funzioni requirenti appartengono all’ordine giudiziario ma non sono muniti di poteri giurisdizionali;  in ogni caso, la legge non può, senza violare l’art. 101 Cost., demandare ad un soggetto diverso dal giudice cui è affidata la responsabilità e la gestione di un dato processo il compito di assumere decisioni che si inseriscono in quel processo ed incidono immediatamente e direttamente sul suo andamento.

Sotto altro aspetto, va poi osservato che il provvedimento del procuratore della Repubblica, così come abbozzato nei suoi presupposti e contenuti, sembra tenere di mira unicamente la verosimile qualità di soggetto passivo di fatti estorsivi ed usurari del richiedente l’elargizione o il mutuo, senza, cioè, implicare alcuna valutazione riguardo alla presenza di altre condizioni pur necessarie a far pronosticare che i benefici economici chiesti dal soggetto gli saranno concessi. In base alla riformulata fattispecie normativa, l’unica  incombenza che l’autorità amministrativa procedente è tenuta a compiere ai fini della adozione del provvedimento del procuratore della Repubblica sulla moratoria è l’invio dell’elenco delle procedure esecutive pendenti a carico del soggetto che della medesima moratoria deve beneficiare. Il procuratore della Repubblica, a norma della disposizione modificata, decide di rendere operativa o non operativa la moratoria secondo che ritenga più o meno plausibile che l’interessato sia stato vittima dei delitti in questione, ma del tutto indipendentemente dalla circostanza che l’elargizione o il mutuo possano non essere accordabili a quel soggetto per la mancanza di altre condizioni indispensabili alla loro concessione.

Il che porta a concludere che la legge riformatrice – non si sa quanto consapevolmente –  ha ristretto la cerchia delle possibili condizioni rilevanti ai fini dell’acquisto di efficacia delle sospensioni alla sola verifica della possibilità di ritenere la persona probabile parte offesa dai fatti posti a giustificazione dalla sua domanda di elargizione o di mutuo.

Ma così facendo, il Legislatore, pur continuando a subordinare la fruibilità della misura conservativa alla necessità che l’interessato chieda l’elargizione o il mutuo, praticamente affranca la possibilità di fruire della misura stessa da ogni esigenza di compiere una pur sommaria previsione favorevole riguardo al fatto che l’interessato otterrà le provvidenze statali; in questo modo la moratoria, per un verso, seguita inspiegabilmente a trovare nella richiesta di elargizione e di mutuo la condicio sine qua non della sua astratta spettanza soggettiva e, per altro verso, viene sganciata dalle sorti di tale richiesta nel momento in cui, dovendosi decidere sulla concreta operatività della misura,  non si postula all’organo decidente la necessità di svolgere valutazioni prognostiche sugli esiti della richiesta di elargizione e di mutuo a prescindere dalla presumibile qualità di vittima dell’estorsione e dell’usura del richiedente.

Ne segue che la moratoria perde inevitabilmente la peculiare finalità prodromica alla quale si è fatto prima cenno, ossia quella di assicurare al danneggiato dai reati più volte detti la conservazione del patrimonio in attesa di ricevere le provvidenze richieste, finalità pure inequivocabilmente assegnata alla misura in questione dallo stesso art. 20 L.44/1999  quando, al primo comma, stabilisce che le sospensioni de quibus spettano non già a quanti abbiano semplicemente subito danni da usura o da estorsione, ma a coloro che, avendo subito tali danni,  abbiano chiesto di conseguire l’elargizione o il mutuo riservati alle vittime dell’estorsione e dell’usura.

Altra singolarità della  “miniriforma” dell’art. 20 L.44/1999 risiede nel fatto che l’assunzione della decisione del procuratore della Repubblica necessaria a rendere effettuale  la moratoria parrebbe essere stata condizionata alla pendenza di procedimenti di esecuzione forzata a carico del soggetto interessato, quasi dimenticando la legge novellatrice che le sospensioni in discorso non incidono sui soli procedimenti esecutivi in corso ma ance sulle altre e variegate fattispecie di rapporti giuridici pure elencate dall’art. 20.

Appare pertanto utile segnalare che, in presenza dei ravvisati presupposti, la moratoria dovrebbe essere resa efficace dal procuratore della Repubblica in ogni caso e non solo quando il prefetto gli comunichi l’elenco dei procedimenti esecutivi pendenti a carico del presentatore dell’istanza di elargizione o di mutuo, potendo l’interessato servirsi della determinazione del procuratore per poterla opporre erga omnes, onde far valere l’intervenuta sospensione dei termini con riguardo a tutti gli altri rapporti processuali e sostanziali presi in considerazione dall’art. 20. Il beneficiario del provvedimento, pertanto, avrebbe l’onere di chiedere alla competente procura della Repubblica il rilascio di una o più copie autentiche dell’atto ove volesse servirsi di questo ai suddetti fini.

Da ultimo, viene inserito un comma 7-ter nell’art. 20 della legge 44/1999, a mente del quale, ove i beneficiari della moratoria abbiano fruito della possibilità, loro data dall’art. 20, di “congelare” l’assolvimento degli obblighi fiscali e previdenziali per i periodi previsti dalla stessa norma, l’Erario e gli enti previdenziali e assistenziali non possono applicare sanzioni dal giorno in cui si è verificato l’evento lesivo e per tutta la durata della moratoria.


4. Bilancio finale

Dopo una gestazione durata ben quattro anni, da questa legge ci si sarebbe aspettati di più.

E’ andata perduta l’occasione per procedere, finalmente, ad un riassetto organico e razionalizzatore di una materia rimasta per troppo tempo affidata ad una disciplina normativa incompleta ed imprecisa che avrebbe meritato una ben maggiore attenzione in sede di riforma.

Vi sono, ad esempio, aspetti normati dalle due leggi del ‘96 e ’99 che sembrano denunciare, da parte dei relativi formulatori, una conoscenza solo approssimativa dei fenomeni del racket e dell’usura e che, al banco di prova della loro applicazione, hanno costretto a superare le insormontabili difficoltà poste dalle inadeguatezze e lacune previsionali attraverso un’attività di “bypassa mento” dei loro dettati dissimulato dietro l’apparente  interpretazione degli stessi.

In questo senso, è paradigmatico il caso dell’art. 20 della legge 44/1999, che fa decorrere le sospensioni dei termini e dei procedimenti ivi contemplate non dal giorno della denuncia penale contro gli estorsori o gli usurai sporta dalla vittima, ma dalla data dell’evento lesivo, ossia da un accadimento che, soprattutto con riferimento all’usura, solo raramente riesce possibile individuare a causa della grande complessità che, in concreto, le vicende usurarie di regola presentano.

Occorreva colmare carenze strutturali gravi ed inveterate, come quella evidenziata da una legislazione che fa riferimento ad una figura di imprenditore usurato o danneggiato dal racket concepita unicamente secondo l’antistorico modello del titolare di azienda individuale, con tutte le problematiche che ciò ha comportato sul piano dell’applicazione alle imprese societarie di condizioni e criteri di accesso alle misure di sostegno tarati sul solo imprenditore individuale, categoria pressoché estinta dopo l’avvento delle società unipersonali.

Né si è fatto alcunché per correggere il vizio di origine di un procedimento propedeutico alla concessione dei contributi in discorso concepito secondo un modello  incentrato sul processo penale come unica ed insostituibile fonte a cui poter attingere per appurare il possesso del requisito di vittima dell’estorsione e dell’usura da parte dei soggetti che aspirano a percepire le somme. Quel che ne è seguito, nella realtà effettuale, è un inter burocratico formalmente assistito dalla garanzia di un ragionevole termine di durata, ma che l’esperienza concreta ha rivelato essere totalmente condiziono, nei tempi e nell’efficacia, dai ritmi e dalle esigenze degli uffici giudiziari.

I pochi aggiustamenti apportati alla ultradecennale legislazione di sostegno alle vittime dell’usura e dell’estorsione appaiono, a conti fatti, di contenuta entità e, per giunta,  rischiano di portare all’interno di quel tessuto normativo, già di per sé piuttosto imperfetto, gli ulteriori elementi di problematicità che si è cercato di porre in luce analizzando le innovazioni recate dalla legge.
 

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