giovedì 26 gennaio 2012

Le ricette suicide di Mister Monti


Non si può produrre maggiore ricchezza dalla spartizione di una torta in fette più piccole

Le ricette suicide di Mister Monti




Ci eravamo ormai quasi abituati alle sparate del “re della comunicazione” (così avevano ribattezzato il campione mondiale dei venditori di fumo, che ha conquistato la democrazia italiana con le frottole e con le barzellette), tuttavia quando la crisi ci ha colpito e i dati reali sono venuti finalmente a galla, la gente ha preso atto della gigantesca bufala alla quale aveva creduto.
Si sperava dunque che fosse passata la voglia di dar credito a chi le spara grosse allo scopo di conquistare voti e stare a galla in Parlamento e nei palazzi più prestigiosi delle istituzioni italiane, invece abbiamo cambiato gli inquilini di palazzo Chigi, ma sembra che funzioni ancora così, con dichiarazioni che è persino troppo generoso definire molto ottimistiche.
Tutto questo lungo preambolo è chiaramente rivolto all’imprudente dichiarazione fatta da Monti nei giorni scorsi, che la manovra sulle liberalizzazioni avrà un effetto talmente benefico sull’economia italiana da far persino crescere il PIL dell’11% e i salari del 12%, forse già da quest’anno.
Davvero, anche noi vorremmo che fosse così, per il bene dell’Italia e degli italiani, ma purtroppo, per chi non si accontenta delle dichiarazioni ultra-ottimistiche, basta una rapida analisi dei provvedimenti contenuti nel decreto, per capire che non ci sono proprio i numeri per sperare con concretezza che questo miracolo si avveri.
Certamente qualcosa il decreto lo produce, ma forse sarà solo maggiore ingiustizia sociale, non maggiore ricchezza da distribuire.
Vediamo il perché analizzando un po’ più in dettaglio la lista dei miracoli che le liberalizzazioni dovrebbero produrre.
I settori interessati alle liberalizzazioni sono quelli degli avvocati, dei notai, dei taxi, delle farmacie, dei trasporti. Bene, qualcuno può credere davvero che liberalizzando anche tutti assieme tutti questi settori il PIL (Prodotto Interno Lordo) farebbe un balzo positivo addirittura di oltre il 10%?
Non c’è bisogno di essere “bocconiani” per capire che non ci sta proprio. Come può produrre maggiore ricchezza la semplice spartizione di una torta in “fette” leggermente più piccole se la torta è sempre grande uguale? Fatta con criterio, questa cosa, può dare al massimo una spartizione più equa di quella torta, non la creazione di maggiore ricchezza (dato che il decreto non produce maggior lavoro per gli avvocati, o per i notai, o per i farmacisti).
Questo provvedimento crea perciò solo un piccolo spostamento della stessa ricchezza tra un numero maggiore di individui. È positivo per chi ci entra, ma è negativo per chi c’era da prima, quindi neutro sotto il profilo del PIL.
Più interessante, e certamente utile nel senso proposto dal governo, è il decreto che “liberalizza” la costituzione di nuove imprese. Si capisce quindi l’esultanza della Marcegaglia, presidente di Confindustria, all’annuncio di questa novità, tuttavia una liberalizzazione che, oltre alla semplice sburocratizzazione di alcuni vincoli in precedenza richiesti, liberalizza troppo, può essere addirittura negativa, per la società civile, se porta indiscriminatamente un superamento di determinati vincoli ambientali e l’allentamento di quelli che servono ad arginare la già difficile lotta alle organizzazioni criminose.
L’altro provvedimento, quello delle SSRL (Società Semplificate a Responsabilità Limitata), che concede ai giovani fino a 35 anni la possibilità di aprire società di capitali con un capitale minimo di un euro (e sconti sui costi per la costituzione), non è, tecnicamente parlando (come compete a dei tecnocrati), nemmeno una liberalizzazione, perché è limitato ai giovani fino a 35 anni, quindi può essere tutt’al più definito un “sostegno all’imprenditoria giovanile”, non una liberalizzazione. E poi, dove volete che vada una srl con capitale di 1 euro formata da semplici giovanotti con tante speranze e pochi soldi? Con un euro (più gli altri oneri necessari a costituire l’impresa) si arriva al massimo ad avere il pezzo di carta legale con scritto il nome dell’impresa, e poi? Chi fa credito ad una impresa con quel ridicolo capitale di rischio? Li vedete voi i nostri coraggiosi banchieri concedere i fidi necessari per lavorare a queste SSRL?
Anche per le altre categorie interessate valgono più o meno le stesse obiezioni. Il fatto è che determinate liberalizzazioni possono produrre effetti positivi nel mercato interno solo se il PIL è già in crescita, altrimenti producono solo spostamento di ricchezza all’interno della stessa “torta”.
Purtroppo fatte in questo modo, e da questi tecnocrati, è probabile che queste liberalizzazioni, oltre a non produrre la crescita desiderata, producano anche maggiore ingiustizia sociale piuttosto che un migliore equilibrio redistributivo.
Questo d’altronde si è già visto nel comportamento del mercato americano. Nell’immediato dopoguerra, quando la crescita del mercato è stata forte e la distribuzione delle risorse equa, la crescita economica reale è stata imponente. Poi con le prime crisi e l’avvio di politiche economiche (da Reagan in poi) che favorivano solo le fasce più alte di reddito, il rilancio economico dopo le crisi congiunturali è stato sempre più difficile. Fino all’arrivo (a fine secolo scorso) di una crescita economica praticamente solo “virtuale”, ingrossata cioè dalla creazione di beni solo cartolari, che sono si rappresentativi di beni reali, ma troppo spesso sono stati messi in circolazione e moltiplicati varie volte, fino a creare sotto il profilo economico-finanziario la gigantesca bolla tuttora in circolazione, vera mina vagante del mercato globale, che ora minaccia l’intera Europa.
L’eccesso di liberalizzazioni non ha generato solo una incontrollata gigantesca bolla speculativa che ha avuto effetti mortiferi sulle economie occidentali, ma ha creato insieme anche le condizioni per il formarsi, sotto il profilo sociale, di una ingiustizia redistributiva arrivata a livelli di autentica grave indecenza morale.
Le liberalizzazioni, in un capitalismo decotto come l’attuale, potrebbero dare effetti positivi sull’economia se andassero nella direzione di una migliore redistribuzione del reddito prodotto nel paese. Solo così si avrebbe un incentivo sui consumi interni (le fasce di reddito più basse spendono tutto, quelle più alte spendono solo una parte ed esportano i capitali). In tal modo, attraverso l’abbattimento di certe barriere burocratiche e di certi privilegi sarebbe possibile avere anche un rilancio delle attività produttive e quindi del PIL.
Non è inseguendo le ricette del capitalismo americano (fallito nel 2008) che si salva l’Europa, è rilanciando la giustizia sociale e l’economia reale che si produce crescita.
In un paese già ampiamente privatizzato come l’Italia, sono in molti casi proprio le nazionalizzazioni, che mantengono la produzione e la ricchezza all’interno del paese invece di lasciarla libera di andare dove vuole (facendo arricchire gli altri) che possono dare risultati per il rilancio, non ulteriori privatizzazioni e liberalizzazioni.
Chi ha avuto i migliori risultati di crescita negli ultimi dieci anni? Le economie che già ampiamente libere continuavano a privatizzare e liberalizzare, o quelle che, ampiamente nazionalizzate, aprivano un poco alle liberalizzazioni? La risposta la conoscono già tutti: negli ultimi dieci anni le economie cinese, indiana, brasiliana hanno fatto passi da gigante grazie alle eccessive liberalizzazioni dei paesi occidentali. Adesso se non vogliamo prendere noi il loro posto e diventare noi terzo mondo, dobbiamo tornare ad un po’ di nazionalizzazioni e accompagnarle da liberalizzazioni solo là dove si individuano rendite parassitarie e antieconomiche.

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